Riporteremo la testimonianza di alcuni suoi abitanti che in maniera veramente chiara e completa descrivono i suoi primi passi come quartiere cittadino. Ma ci sarà anche occasione per tornare molto più indietro nel tempo.
ECCO DUNQUE LE TESTIMONIANZE DEGLI ABITANTI.
Il materiale di questo lavoro fa parte di una ricerca scolastica iniziata nel 1999.
Le interviste risalgono al 1999. Da allora il quartiere ha subito nuove modifiche e ho provveduto ad inserire degli aggiornamenti.
"Nel quartiere, prima che si costruissero le case, c'era la cava di pietre da cui si estraevano i cantoni. Andando dalla via Don Minzoni verso il mare c'erano tanti orti; si dice che quei luoghi fossero ricchi di acqua potabile e che ci fossero molti pozzi. Prima della zona dove ora sorge la stazione c'era l'acquedotto. C'erano anche un caseificio e un mulino. Non esisteva la stazione, ma c'erano solo i binari che andavano a San Giovanni. Non c'era neanche l'ospedale.
La Pietraia è nata come quartiere popolare, cioè le prime case che sono state costruite erano case popolari. Non era unito al centro di Alghero come lo è adesso, ma era come una frazione staccata. Nel terreno dove ora c'è la mia casa, prima c'era una cava di pietre. Infatti quando mia mamma era piccola, intorno alla casa c'erano i segni degli scavi. In tutto questo territorio, prima che venissero costruite le case, c'erano tante cave di pietra. E' per questo motivo che forse il nostro quartiere viene chiamato la Pietraia o La Pedrera (leggi: La Parrèra)."
"Il quartiere era composto da una strada senza asfalto tutta circondata da orti.
Negli anni del secondo dopoguerra (anni cinquanta) l'abitato di Alghero arrivava fino al porto, dove c'era la vecchia stazione ferroviaria.
Di fronte alla stazione c'era la scuola materna Magnanelli (La scuola Materna è erroneamente conosciuta con la denominazione di "Magnanelli" dal nome del costruttore. In realtà è intitolata all'ing. Erminio Sella che la donò alla città. La giusta denominazione appare chiara sulla facciata dell'edificio. Oggi ospita la facoltà di Architettura) e la fabbrica di conserva e poi di sansa di olive. Prima della chiesa di S. Giovanni c'era uno stabilimento dove si faceva il crine, e a fianco della chiesa di S. Giovanni c'era un convento che negli anni settanta ospitava le Clarisse, suore di clausura che già da alcuni anni si sono trasferite a Monte Agnese.
Subito dopo la chiesa, sempre proseguendo in direzione della Pietraia, c'era la vecchia cantina di Sella & Mosca (oggi Quarter Sayal) All'angolo dove ora c'è lo svincolo per andare al Lido c'era un altro stabilimento del crine. Nel luogo dove adesso c'è la Standa sorgeva una struttura gestita dai frati; poi è diventato un albergo e agli inizi degli anni novanta l'edificio è stato demolito ed al suo posto è stato costruito un grande palazzo che ospita i grandi magazzini.
Sempre agli inizi degli anni novanta, in una zona coltivata ad orti, è stata costruita la caserma dei carabinieri. Più avanti, sulla destra, subito dopo la chiesetta di Sant'Agostino Vecchio c'era tutto un fossato con delle piccole casette dove viveva della gente. In seguito, negli anni ottanta, è stato costruita la stazione ferroviaria. Subito dopo si trovano le prime case popolari, la chiesa di S. Giuseppe, il mercato rionale.
Dietro il mercato c'è una grande area recintata con due grandi capannoni. Uno ospitava i forni della vecchia vetreria e, quello di fronte, era utilizzato come magazzino. Durante la seconda guerra mondiale fu adibito a deposito di aerei.
Dietro l'ospedale, che entrò in funzione nel 1968, si trova la vasta necropoli di Cuguttu, oggi in stato di completo abbandono. Durante la seconda guerra mondiale i soldati scavarono gallerie per unire alcune tombe ed usarle come rifugi o altro.
Negli anni sessanta, nella zona che si trova di fronte all'ospedale Marino, è nato il complesso delle case E.T.F.A.S. e recentemente è stato costruito un Parco Giochi."
Ascoltiamo adesso la testimonianza di un archeologo, Antonio Taramelli, che esplorò la zona nel 1909. (Da "Scavi e scoperte" 1903-1910)
"A breve distanza dalla città di Alghero, presso la chiesetta di s. Agostino vecchio, dove la ferrovia per Sassari interseca la strada provinciale di Porto Conte, a poca distanza dalla spiaggia del mare, si elevano una serie di leggeri rialzi composti di una roccia tenera nella quale sono aperte le cave numerose per il materiale di costruzione. La regione porta il nome di Cuguttu. Questi rialzi, antiche dune del litorale quaternario, hanno fornito il materiale per gran parte della città d'Alghero, compresi i monumenti, i bastioni aragonesi e spagnuoli; ma ancora adesso questi materiali sono usati; e le cave per ottenerli hanno perforato in ogni senso ed in parte sino ad una profondità talora di sei o sette metri, specialmente nel tratto vicino alla chiesetta di s. Agostino e prossimo alla strada accennata."
Da questa testimonianza possiamo ricavare le seguenti notizie:
- Nel quaternario la zona era un litorale sabbioso;
- Il territorio fino ai primi anni del novecento veniva denominata Cuguttu e non La Pietraia;
- Nel 1909 era già in funzione la ferrovia Alghero-Sassari;
- La via Don Minzoni era allora la strada provinciale Porto Conte.
Alle spalle dell'Ospedale Civile si trova la necropoli di Cuguttu e Taulera.
Questo antico cimitero del periodo eneolitico ormai è illeggibile nel territorio. Le erbe nascondono da decenni gli ingressi degli ipogei che formano un grande sito archeologico. Le sue vicende sono ignorate da molti, soprattutto da coloro che lo utilizzano come discarica per ogni sorta di rifiuti.
Ma noi non potevamo dimenticarlo perché sappiamo che una parte della nostra storia è legata a quella località, che per gli antichi sardi era un'area sacra, un luogo di culto, di raccoglimento e di preghiera.
Per conoscere qualche notizia su questo sito occorre leggere la relazione del Direttore del Museo e degli Scavi e Antichità della Sardegna Antonio Taramelli, che l'ha esplorato nel 1909.
Egli ci racconta che un ufficiale dei bersaglieri, Roberto Melosi, nel marzo 1873, aveva notato la presenza degli ipogei e vi aveva trovato resti di scheletri, e frammenti di pietra lavorata.
Passarono gli anni ed altri studiosi si interessarono del luogo. Quando Taramelli si trovava ad Anghelu Ruju per scavare la necropoli, si recò a Cuguttu e si accorse che le tombe erano state tutte frugate ed ampliate dai cavatori di tufo e dai pastori che vi ricoveravano il bestiame.
A questo punto l'archeologo, impegnato in altri lavori, si limitò a raccomandare ai cavatori di stare attenti. Poco tempo dopo egli ebbe notizia del fatto che durante l'apertura di una nuova cava, si era tagliata una tomba.
Ma sentiamo ciò che dice lui stesso. "Non fui avvertito in tempo per sorvegliare lo scavo, che disgraziatamente non fu fatto a scopo archeologico, sicché... non potei che raccogliere il materiale sfuggito alla distruzione e visitare quel poco che rimaneva delle tombe".
I reperti erano di vario tipo. C'erano frammenti di ossa umane,utensili ed armi di selce ed ossidiana, due anellini e due braccialetti di rame, pendagli ricavati da denti di cinghiali e di volpi, valve di molluschi, oltre a numerosi vasi d'argilla. Alcuni erano decorati ma in prevalenza erano cotti in maniera incompleta e lavorati senza cura dei particolari.
Gli ipogei si presentano con caratteristiche simili a quelle di Anghelu Ruju. Da una breve rampa si accede ad un locale centrale circolare con aperture che immettono alle celle sepolcrali situate ad un livello superiore rispetto al pavimento dell'ambiente centrale.
La necropoli di Cuguttu si da risalire all'Età del Rame e del primo Bronzo. L'analisi dei reperti fa pensare al Taramelli che:
"... questa tomba di Cuguttu sia più recente di quelle di Anghelu Ruju; e così possono spiegarsi le analogie più strette e numerose che siamo venuti notando col materiale dato dai nuraghi."
In altre parole Cuguttu segna il passaggio dall'Eneolitico al Nuragico e apparteneva a genti che, "in corso del tempo, dettero forma alla civiltà nuragica".
Ma la necropoli nascondeva ancora un altro importante reperto. In una domus si trovò in seguito un cranio trapanato, appartenuto ad un individuo vissuto nella prima età del Bronzo (1800-1600 a.C.) . Le grotte naturali e artificiali dell'Isola, sino ad ora, ci hanno restituito una decina di crani che avevano subito questa operazione.
Il numero elevato di sepolture che compongono il sito fa supporre che nelle vicinanze esistesse un villaggio densamente popolato. Il luogo è decisamente favorevole ad un insediamento umano: nel territorio si trovano numerose risorse naturali: la laguna del Calich, il mare, e campi pianeggianti. Vi si potevano sviluppare la pesca, la caccia, la pastorizia e l'agricoltura.